La mascolinità tossica fa schifo? C'è chi la sta ripensando dagli anni '60
A Londra, una nuova mostra indaga le alternative al Maschio Alfa.
Thomas Dworzak, Taliban portrait. Kandahar, Afghanistan. 2002
Nel 1977 l'artista americano Hal Fischer realizzò Gay Semiotics, una serie fotografica che analizza il linguaggio visuale della comunità gay di San Francisco negli anni che precedono l’epidemia di AIDS. Ispirandosi al lavoro di August Sander e allo strutturalismo francese, Fischer produsse una serie di ritratti in bianco e nero accompagnati da didascalie che categorizzano stili e tipi degli archetipi gay del tempo, pur riconoscendone l’ambiguità.

Lo studio fotografico di Fischer mostra non solo il "lessico dell’attrazione," come lui stesso lo definisce, di una comunità discriminata, ma porta alla luce un modo di essere uomini e vivere la mascolinità che aveva iniziato a farsi strada proprio dalla fine degli anni '60. Se nei decenni precedenti la mascolinità abbottonata, bianca, etero e privilegiata aveva esercitato la sua supremazia, grazie alla spinta dei movimenti per i diritti civili e la liberazione delle donne e a una maggiore consapevolezza di classe, una pluralità di mascolinità sovversive usciva finalmente allo scoperto.
Gay Semiotics è inclusa in Masculinities: Liberation through Photography, una mostra collettiva al Barbican di Londra che racconta il modo in cui la mascolinità è vissuta, rappresentata, codificata e costruita attraverso la fotografia e il cinema dagli anni '60 a oggi. Sviluppata in sei sezioni, Masculinities contiene opere di più di 50 artisti da tutto il mondo, da nomi di fama internazionale come Andy Warhol, Wolfgang Tillmans e Herb Ritts, a talenti emergenti come Aneta Bartos, Sam Contis e Kalen Na’il Roach.

Il tempo per una mostra sul tema non poteva essere più opportuno. L’esperienza del movimento #MeToo—insieme all’insorgere di una mascolinità alt-right orgogliosamente tossica—ha messo in crisi un certo tipo di immaginario egemonico, stereotipato nella cultura, ma anche nella struttura della società e dei rapporti. Inoltre sta crescendo la consapevolezza dei problemi emotivi e psicologici che affrontano gli uomini oggi: in quasi tutti i paesi del mondo i tassi di suicidio sono più alti per gli uomini rispetto alle donne. Nel Regno Unito, un uomo su otto soffre di disturbi di salute mentale e il suicidio è la maggiore causa di morte degli uomini sotto i 35 anni.
Il tema vastissimo della mostra - circa la metà della popolazione mondiale - viene affrontato seguendo un filone ben preciso. Dalla Rebel Youth di Karlheinz Weinberger ai ritratti dell’elite del potere di Richard Avedon, Masculinities si propone di abbattere tutti i presupposti sulla mascolinità, mostrando come ciò che consideriamo "maschile" è un’idea relativa che cambia nel tempo e nel luogo, e può essere messa in discussione e modificata per ampliarsi e comprendere più identità.

Nella serie Taliban di Thomas Dworzak l'instabilità geografica e culturale dei simboli della mascolinità è rappresentata in modo efficace. Composta da ritratti trovati in studi fotografici a Kandahar dopo l'invasione americana dell’Afghanistan, la serie mostra giovani combattenti talebani. Ritratti circondati da composizioni floreali, alcuni si tengono per mano, kajal nero applicato con cura intorno agli occhi, guance arrossate e sfondi vivacissimi.
Un immaginario idilliaco se non fosse per le pistole e i fucili d’assalto che alcuni soggetti tengono in mano. Agli occhi occidentali le immagini ricordano più l’iconografia camp che quella militare, ma gli uomini di Kandahar hanno una lunga tradizione di abbigliamento raffinato e riti cosmetici. È semplicemente la natura della loro mascolinità.

Un’altra grande performance di mascolinità è rappresentata nella serie Gentlemen di Karen Knorr. Realizzata nei primi anni '80, la serie ritrae scene nei club privati per soli uomini di Londra accompagnate da frasi tratte da discorsi parlamentari e notiziari. L’abbinamento delle foto con il testo aggiunge uno strato di ironia mentre invita a riflettere sulle categorie di classe, razza e sull’esclusione delle donne dai luoghi di potere.
Men are interested in Power. Women are interested in Service, si legge sopra il ritratto di un uomo nero che porta un servizio d'argento.

Oltre che nelle opere l’attenzione alle dinamiche di genere, razza e potere è molto presente nella curatela. Le diverse sezioni della mostra - ‘Disrupting the Archetype’; ‘Power, Patriarchy and Space’; ‘Too Close to Home: Family & Fatherhood’; ‘Queering Masculinity’; ‘Reclaiming the Black Body’; and ‘Women on Men: Reversing the Male Gaze’ - si occupano di mascolinità dalle prospettive diverse di artisti donne, uomini, non binari, queer, non bianchi, e non occidentali. Masculinities include anche lavori sulla mascolinità rappresentata attraverso corpi non maschili che esplorano i parametri e i limiti del gender come le foto di Robert Mapplethorpe alla bodybuilder e sua musa Lisa Lyon.
Ognuna delle sezioni di Masculinities offre una visione così ampia che alla fine è facile sentirsi confusi. Ma forse è meglio così. È solo decostruendo e destabilizzando una narrazione statica e inventata che si può emancipare la condizione maschile. Piuttosto che tentare di trovare un accordo sul suo significato attuale Masculinities suggerisce che la mascolinità è meglio compresa al plurale.







Masculinities: Liberation through Photography è in mostra alla Barbican Art Gallery dal 20 Febbraio al 17 Maggio 2020.
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Crediti
Testo di Benedetta Melini
Immagine per gentile concessione dell'ufficio stampa Barbican