chi è l'unico designer italiano che ha sfilato alla central saint martins quest'anno
Si chiama Niccolò Pasqualetti, e ci ha raccontato la sua esperienza nell'università di moda dove hanno studiato Marc Jacobs, Alexander McQueen e John Galliano.
Niccolò ha ventiquattro anni, è originario di San Miniato e ha appena conseguito una laurea specialistica alla Central Saint Martins di Londra, seguita a una laurea triennale in Design della moda all'Università Iuav di Venezia. La sua collezione gender-fluid ha sfilato durante la scorsa settimana della moda londinese nello show di chiusura del master, quest’anno allestito tra le mura della prestigiosa università.
I suoi capi scultorei sfidano gli obblighi delle categorie di genere, ponendo un’enfasi non sulla differenza tra mascolinità e femminilità, ma sulla linea di contatto tra le due. Volumi destrutturati, macramè, maniche a uncinetto e gonne-pantalone offrono nuove interpretazioni di sensualità e individualità attraverso una palette chiara di bianchi, di beige e di grigi.
Abbiamo conosciuto Niccolò che, con l’attitudine calma e gentile che lo distingue, e i suoi grandissimi occhi, ci ha parlato del suo progetto.

Qual è stato il tuo punto di partenza?
La collezione è nata in reazione alla costante tendenza della società a categorizzare persone, idee, oggetti. Mi sono ispirato alla semplicità delle forme primordiali e fluide nelle sculture di Jean Arp, Henry Moore e Barbara Hepworth. Il movimento dell’Arte Povera ha influenzato la mia ricerca di oggetti comuni che ho raccolto e reinvestito di nuovi valori integrandoli nei capi, come nel caso del top-collana costruito con utensili di legno per lavorare l’argilla o delle maglie patchwork create con lane riciclate.
Come descriveresti la tua collezione?
Pulita e organica, artigianale e innovativa, semplice e strutturata, sartoriale e deformata, scultorea e fluida, womenswear e menswear.

Il concetto di fluidità sembra centrale nella collezione. Cosa significa per te?
È vero, l’idea di fluidità permea tutta la collezione, nei suoi volumi, sartoriali ma liberi e deformati, e nella libertà di espressione di - non - genere che i capi veicolano. La fluidità è rintracciabile anche nella ridefinizione della funzione di oggetti di uso comune, oggetti il cui significato originario scivola in quello nuovo, trasformandoli in accessori e materiali ‘alla moda’.
Quali sono le sfide che hai dovuto affrontare nel realizzare questa collezione?
Ottenere un risultato finale effortless, ovvero rilassato pur nella sua costruzione scultorea. E riuscire a mantenere lo stesso effetto su corpi biologicamente diversi.

Chi vedi nei i tuoi capi?
Chiunque apprezzi vestiti di qualità, caratterizzati da una sensualità delicata. Qualcuno che sia sovversivo nella sua pacatezza. Senza distinzioni di sesso o genere.
In che modo pensi che Saint Martins ti abbia influenzato come designer?
Mi ha insegnato a sperimentare più liberamente, svincolato dalla paura di sbagliare. Certe idee possono non funzionare e vanno ripensate, ma la cosa più importante è provare strade diverse e inesplorate. Durante il mio iter ho anche imparato a mettere in dubbio le nozioni di buon gusto e cattivo gusto.

Qual è secondo te la ragione per cui CSM è considerata l’università di moda più formativa al mondo?
Oltre che per i molti stilisti famosi che vi hanno studiato, credo sia per il suo approccio educativo sperimentale e innovativo. In Saint Martins gli studenti sono spinti a rispettare e perseguire la propria autenticità creativa, senza pensare di doversi conformare alle tendenze del momento.
Qual è stata la sfida più difficile che hai dovuto affrontare studiando all’estero?
Prima di trasferirmi a Londra per il master, ho studiato per un periodo in Belgio e ho lavorato come intern per The Row, a New York. Se si decide di fare questo lavoro, credo vada messo in conto di stare lontano da casa. È un grande investimento a livello economico, ma sono grato perché a Londra ho avuto la fortuna di essere supportato dalla borsa di studio di Stella McCartney per tutta la durata del corso. Forse la parte più difficile di essere un fuorisede è che quando finalmente ci si ambienta in un nuovo posto, è già ora di ripartire.

Quale invece l’aspetto più positivo?
Ce ne sono tanti, da quello linguistico all’apertura di nuove prospettive. So che è un cliché quello di Londra come "città creativa," ma nella mia esperienza personale è stato realmente così. Qui ho conosciuto nuovi e innumerevoli stimoli, sensibilità simili alla mia con cui condividere progetti e sogni.
Che consiglio daresti a chi ha in mente un percorso simile al tuo?
Di prepararsi. [Ride, NdA] A parte gli scherzi, la cosa più importante è avere il proprio obiettivo chiaro in testa e sperimentare ogni strada per raggiungerlo, senza pensare che gli altri si aspettino qualcosa di diverso da ciò che sei.

Come ti senti ora che ti sei laureato?
Il lavoro sulla collezione finale è stato impegnativo e intenso e, ora che è finito, mi sento un po’ vuoto. Anche se è molto eccitante pensare che tutto stia per cambiare, sento già nostalgia della Saint Martins.
Sogni per il futuro?
Restare sincero e libero nella mia creatività, ovunque mi troverò.



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Crediti
Intervista di Cecilia Alba Luè
Fotografia di Heather Glazzard