E se Gucci avesse capito come vincere la Digital Fashion Week?
Una diretta streaming di 12 ore, il design team al posto del modelli, e la sensazione che, anche se digitale, una sfilata può raccontare molto al pubblico.
A Febbraio, Alessandro Michele aveva mostrato al pubblico il backstage di una sfilata Gucci. Gli ospiti dovevano attraversare la sala trucco e parrucco prima di arrivare al loro posto, dal quale avrebbero poi assistito al alla vestizione dei modelli su una giostra rotante (una pungente metafora del calendario stagionale al quale, allora, Gucci ancora aderiva). Una scelta anticipatoria, che ha messo al centro del discorso i rituali su cui si basano da decenni le sfilate.

Oggi, le sfilate così come le abbiamo sempre conosciute non sono altro che ricordi sbiaditi. Le si può amare o le si può odiare, ma in ogni caso vanno intese come simboli di un mondo pre COVID-19. "Ho sempre considerato le sfilate come magici eventi che bruciano d'incanto," aveva dichiarato allora Alessandro Michele. "Le vedo come celebrazioni liturgiche che sospendono l'ordinario, caricandolo di un eccesso d'intensità. È una processione di epifanie e pensieri che si fanno strada lungo una diversa porzione del sensibile."

E allora cosa può fare un designer che ama le sfilate, quando le sfilate non sono possibili? Spostarsi sul digitale, ovviamente. In un livestreaming durato 12 ore e caratterizzato da un'estetica lo-fi che dava l'impressione di essere volutamente imperfetta, ancora una volta siamo stati invitati a partecipare alla costruzione della sfilata Gucci Epilogue, più che alla sfilata stessa. Il nome dello show lo ricollega ai due precedenti eventi del brand, rendendolo "l'atto finale di una favola in tre tempi." Per l'occasione, ha chiesto al suo design team di fare da modelli per gli abiti e accessori su cui hanno lavorato negli ultimi mesi. La diretta ci ha permesso di osservarli mentre si preparavano, seduti nelle postazioni trucco e parrucco, con maschere defaticanti sotto gli occhi e circondati da vestieristi che indossavano, ovviamente, mascherine e dispositivi di protezione individuale.

Si dice che ci vuole un villaggio per fare un bambino, ma anche per disegnare una collezione. La lunga diretta di Gucci (altra metafora pungente, ma questa volta per ricordarci l'ossessività con cui documentiamo e condividiamo online la nostra quotidianità) ci ha insegnato anche questo, sfruttando l'occasione della Digital Fashion Week per dare al pubblico un'idea del gargantuesco lavoro che sta dietro ogni collezione.

Finora abbiamo visto le Multiple Views di Prada, ammirato JW Anderson riassumere il suo show per Loewe in una scatola di meravigliosi oggetti, osservato il dispiegarsi dello storytelling barocco di Magliano, studiato gli avatar di Sunnei. E tutti, in un modo o nell'altro, hanno ricordato a tutti noi che la moda è uno sport di squadra, e che i Direttori Creativi che tutti conosciamo sono parte di una famiglia allargata di creativi, artigiani e sì, anche pubblico internazionale. La mia favola in tre tempi vuole dunque produrre un’istanza interrogativa sulle regole, i ruoli e le funzioni che fanno vivere il mondo della moda," ha dichiarato Alessandro Michele attraverso il comunicato stampa diffuso al termine del livestreaming. "Si tratta di un’indagine inevitabilmente parziale e volutamente deformante: un gioco squilibrato in cui ho cercato di smontare le impalcature, capovolgere i piani, spostare lo sguardo, mettere in tensione le grammatiche attraverso cui cerchiamo di nominare il mistero della bellezza."







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