Sinistra: statua in cera a Wat Phra Singh; Destra: dipinto murale al Gran Palazzo
Contraddittoria, iper-saturata e già nel futuro: ecco la Tailandia che non hai mai visto
Non le solite foto da influencer con spiaggia bianchissima e mare cristallino sullo sfondo, ecco.
Fotografia di Igor Furtado.
Sinistra: statua in cera a Wat Phra Singh; Destra: dipinto murale al Gran Palazzo
Quando pensate all'anno 2563, che cosa vi immaginate? Probabilmente macchine volanti, cervelli onniscienti, tagli di capelli un un pò assurdi e tutto il resto. Altra domanda: prima di andare in Tailandia, o nel caso non ci siate ancora stati, che cosa pensavate di questo paese? Templi dorati, acque cristalline; ma anche la libertà senza freni di una città come Bangkok, e le orde di tuk tuk che la popolano.
È difficile immaginarsi luoghi, che siano nel futuro o ad un aereo di distanza, e come accade per le fantasie futuristiche plasmate da una cultura delle immagini collettiva (e occidentale), così accade anche per i paesi che ci troviamo a conoscere prevalentemente attraverso una curata selezione di fotografie patinate. E se vi dicessimo che la Tailandia sta vivendo il suo 2563esimo anno? Riuscireste a far combaciare quelle due visioni distorte, del futuro e di questo luogo, che abbiamo fatto emergere dalla vostra mente?
2020/2563 è la serie di immagini scattate da Igor Furtado, fotografo di origine brasiliana, che trovandosi in Taliandia nel momento in cui in Occidente si festeggiava il capodanno 'canonico', ha scoperto che secondo il calendario buddista, si trovava a vivere nell'anno 2563. Questa nozione ha innescato una serie di riflessioni nella mente del fotografo, come quella di ripensare al concetto di tempo, distaccandolo da norme predefinite e mai messe in dubbio, e allo stesso tempo di distaccarsi da delle preconcezioni visive insite nella nostra mente. Attraverso questa serie fotografica, Igor ha infatti avuto la possibilità di scoprire gli scorci più veritieri di questo paese, ma anche di confrontarsi con quelli più stereotipati.
Il risultato è un racconto che ha del fantastico, dove una giustapposizione iconografica si mescola con una temporale, e dove i preconcetti, stereotipi o previsioni sono lasciate alla porta; donando una forte carica di autenticità all'intero progetto e alla pratica artistica del fotografo. Noi abbiamo fatto qualche domanda ad Igor, per saperne di più su 2020/2563 e su cosa gli ha insegnato questo progetto.

Cosa ti ha portato in Tailandia? Cosa sapevi di questo paese, e cosa hai scoperto una volta visitato?
Ho sempre avuto intenzione di andare in Tailandia per vedere alcuni dei templi, ma non credevo che quest’occasione sarebbe capitata presto. Quando ho scoperto che mi sarebbe stato possibile fare questa serie fotografica, ho dovuto programmare un itinerario, ed è stato in quel momento che ho scoperto molte informazioni che ancora non conoscevo sulla storia e sulla tradizione artistica tailandese. Dopo aver visitato sei città, dal nord al sud del paese, mi ha colpito quante similitudini ci fossero con la mia terra, il Brasile. Ovviamente ci sono infinite differenze culturali, ma essendo paesi tropicali con governi autoritari con una forte presenza militare, ho scoperto molte più cose in comune di quanto mi sarei mai potuto immaginare.
Pensi che la presenza del turismo abbia cambiato in qualche modo le tradizioni e le pratiche religiose di questo luogo? Come se dovessero ‘soddisfare’ il gusto e le aspettative di chi lo visita?
La Tailandia è uno dei pochi paesi nel mondo a non essere stato colonizzato dai poteri europei. Questo spiega le differenze nel calendario e nell’alfabeto, la presenza del 93% di Buddisti e molte altre particolarità. Ma questo non vuol dire che il territorio non sia stato soggetto al capitalismo e alle influenze di altre culture. Oggigiorno, nei grossi centri, come in diverse mete turistiche, le attrazioni più famose sono spesso affollate e stereotipate, il che finisce per distanziarle da una prospettiva locale ed autentica. Negli ultimi anni, le spiagge e le foreste sono state fortemente danneggiate, persino chiuse, a causa del turismo. Comunque, se si visitano città più piccole o le periferie, si possono percepire ancora le tradizioni locali e quotidiane, le maniere di vivere e le abitudini che ancora sopravvivono.

Secondo il calendario buddista, la Tailandia sta ufficialmente vivendo nell’anno 2563. Ha quest’informazione avuto qualche impatto sulla tua percezione del presente?
A parte le differenze rispetto al Brasile, sia nel calendario che nel fuso, sono capitato in Tailandia nel momento in cui si festeggiava il capodanno Occidentale, che cade in un giorno diverso nel paese, e viene chiamato Songkran. Tutto questo mi ha fatto molto riflettere su quanto il concetto di tempo sia istituito e normalizzato dalla società, e di come sia intrinsecamente legato alla religione e alla tradizione. Per noi occidentali, ogni momento viene scandito da delle date legate alla nascita di Gesù Cristo, e questo dice molto su chi siamo. Penso che potremmo iniziare a prendere in considerazione altre definizioni e percezioni del tempo. Questo alimenta la mia percezione verso il presente come una possibilità radicale verso un’azione non conformista, anche se si è i soli ad apprezzarla completamente.
Dicci di più rispetto il titolo della serie.
“2020/2563” è un progetto che innesca un’attivazione della memoria personale, in un futuro che si trova in mezzo, o oltre. È una presa di coscienza e un’analisi delle mie percezioni.

Il regno del futuro è qualcosa che tendi a inserire nella tua pratica artistica?
In questo momento non sono necessariamente legato al voler mostrare qualcosa che deve ancora compiersi, cerco invece di registrare e documentare ciò che possiede qualità trasformative. Nelle mie immagini cerco di scovare altri luoghi, spesso fantastici. Il fantastico e il reale non sono esattamente agli opposti, al contrario operano in parallelo, orchestrati da misure più o meno palesi. Bisogna solamente essere vigili e aperti.
Quale dovrebbe essere il ruolo della tecnologia, nel future?
È difficile a dirsi, perché la tecnologia è ciò che di fatto ha permesso il compiersi di cose incredibili, si è fatta strada nel mondo come qualsiasi processo di dominazione, creando anche una grossa disparità ed ineguaglianza. Chi possiede la tecnologia, spesso possiede anche il potere. Credo che un possibile cambiamento potrebbe essere quello di abbandonare la nostra ossessione verso il progresso e la produttività, perché sta trasformando tutto in rifiuti.

Questo progetto ha cambiato in qualche modo la tua metodologia e/o processo artistico?
La Tailandia mi ha dimostrato che non importa quanto tempo ci vuole per finire un progetto, a patto che sia importante per te. Anche se ci volesse una vita intera per completare una serie o anche una singola opera, bisogna farlo con il suo tempo. Il risultato alla fine sarà un dono per chi verrà dopo di te.
Raccontaci un incontro che è stato significativo per questa serie fotografica, e che ti ha aiutato ad alimentare la narrazione presente nel progetto.
L’11 gennaio c’è stata la celebrazione del Giorno dei Bambini Tailandesi, in uno dei templi più stupendi di Chiang Rai, chiamato Wat Huay Pla Kang. Era una festa davvero grande e per la prima volta in tutto il viaggio ero l’unico turista presente in quello spazio. Ho incontrato un giovane monaco che sapeva parlare molto bene inglese e che stava scattando delle foto dell’evento. Abbiamo parlato molto di quanto sia importante registrare e documentare i momenti più importanti per il futuro, e poi ci siamo fotografati a vicenda.

C’è un altro luogo che sogni di poter guardare attraverso la tua macchina fotografica?
Mi piacerebbe molto fotografare il Festival di Parintins, una celebrazione popolare che cade ogni anno nello stato di Amazonas, Brasile.
Qual è la tua aspirazione per il futuro?
Il mio obiettivo è quello di continuare a definire il mio tipo di image making, e perseguire la carriera di direttore creativo, fotografando altri artisti e portando avanti progetti in tutto il mondo. Uno dei miei sogni è quello di fare un editoriale per la versione cartacea di i-D, quindi sono contento che me l’abbiate chiesto ;)




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Crediti
Testo di Carolina Davalli
Fotografia di Igor Furtado