La noia adolescenziale della provincia irlandese, in foto
Un po' "Paris, Texas", un po' "Lost in Translation", gli scatti di Megan Doherty sono un vero e proprio tuffo nell’era Tumblr, quando l'estetica malinconica dal gusto grunge dilagava su tutti i blog.
Foto Megan Doherty
A marzo 2020, nel mondo ormai in declino di Tumblr è successa una cosa alquanto strana. Centinaia di post risalenti a una decina di anni fa sono letteralmente riemersi sulle bacheche, come se all'improvviso tra gli utenti più “vecchi” si stesse facendo largo un certo effetto nostalgia. Questo strano fenomeno è stato raccontato da Cortney Kerans, capo della comunicazione di Tumblr, in un articolo pubblicato su Vox.
Alla sua voce si aggiunge quella di Kyrstine Batcho—professoressa di psicologia specializzata nello studio della nostalgia al Le Moyne College di Syracuse, New York—, spiegando che, “in questo momento, ci troviamo di fronte a così tante situazioni sconosciute che tornare agli anni passati è in qualche modo di conforto.” Quello che si sta verificando, infatti, è un ritorno malinconico a un passato idealizzato come un periodo in cui “le cose sembravano più semplici”, amplificato dal fatto che, nell'ultimo anno, molti Millennial sono stati costretti a tornare nelle camerette dove avevano trascorso le loro adolescenze, scoperchiando loro malgrado il vaso di Pandora dei ricordi.

Tumblr, infatti, è prima di tutto una questione da Millenial. Per questa generazione, la piattaforma di microblogging ha rappresentato uno spazio virtuale in cui esprimersi e lasciarsi contaminare da mode e tendenze da tutto il mondo, diventando lo spazio in cui ha preso forma una certa estetica e il medium privilegiato di illustratori e fotografi, ma anche di musei e realtà artistiche, che hanno visto in Tumblr un luogo attraverso il quale far conoscere le proprie opere, visioni e idee.
Guardare le foto dell'artista irlandese Megan Doherty è come fare un tuffo intriso di malinconia negli anni ‘10. Le sue foto dall'estetica grunge, dal tono iper-opacizzato e dai colori squisitamente pop e cinematografici (un po’ Paris, Texas, un po’ Lost In Translation) sono il manifesto di quella che è stata l’adolescenza dei Millenial.

Al centro degli scatti ci sono giovani irlandesi, ritratti nella noiosa vita di provincia che molti di noi conoscono molto bene. Padroni delle strade in bici e skate, sembrano usciti da un videoclip anni ‘90 dei Sonic Youth, con i loro sguardi velati da uno strato di depressione e allo stesso tempo animati da una scintilla di ribellione.
Nel 2020 Megan ha vinto gli International Photography Awards assegnati dal British Journal of Photography, e proprio in questi giorni la casa editrice Setanta Books ha deciso di mandare in ristampa una seconda e più estesa versione del suo libro Stoned in Melanchol. Così l’abbiamo contattata, per chiederle di parlarci del suo immaginario, dei suoi progetti passati, presenti e futuri, di come ha trascorso la sua adolescenza e di quanto la fotografia l'abbia aiutata a combattere la noiosa vita di provincia.

Ciao Megan, come stai? Come hai vissuto questo ultimo anno, dal punto di vista umano e artistico?
Mi sento come se stessi finalmente uscendo da una spirale depressiva in cui non mi rendevo conto di essere. Quando è stato annunciato il primo lockdown mi sono sforzata di lavorare per mantenere alta la mia creatività, ma dopo poco ho perso lo slancio, a causa di una specie di blocco mentale. Con la progressiva riapertura, sono riuscita a concentrarmi su un nuovo progetto e su alcune commissioni che mi hanno fatto sentire di nuovo ispirata ed emozionata.
Ci racconti come ti sei avvicinata al mondo della fotografia? Ti ricordi la prima foto in assoluto che hai scattato?
Quando ho iniziato a scattare non pensavo alla fotografia in termini di carriera, era solo un modo per concretizzare tutte le storie che avevo in testa e per sfogarmi. Da bambina scattavo con macchine usa e getta, quindi non saprei dire quale sia stata la mia prima foto in assoluto, però ricordo il mio primo vero servizio fotografico, che ha dato il via alla mia prima serie. Avevo messo in scena una festa nell'appartamento di un amico e scattato un altro amico in primo piano in modo che apparisse solo e isolato rispetto a quello che stava succedendo intorno. Quella foto si intitola proprio Stoned in Melanchol.

Fai parte di quella generazione che ha passato molto tempo a scrollare sui Tumblr. Quel mondo ha influenzato in qualche modo l'estetica dei tuoi lavori?
In realtà non ero iscritta a Tumblr quando era al suo apice. Ho creato un Tumblr alcuni anni fa per condividere i miei lavori con un pubblico più ampio, ma non ho mai utilizzato davvero questa piattaforma. Lo vedo più come un posto dove caricare fotografie e lasciarle stare lì.
Faccio riferimento all'estetica Tumblr perché Stoned in Melanchol ci ha fatto pensare a un sacco di cose, tra cui gli anni dell'adolescenza, la noia della provincia e allo stesso tempo la voglia di scappare lontano e ribellarsi. Cosa ti affascina di tutto questo?
Durante l’adolescenza, le emozioni viaggiano a un livello altissimo e tutto sembra essere la fine del mondo. A quell'età hai meno responsabilità e le esperienze sono spesso nuove, esaltanti, e in qualche modo modelleranno la persona che diventerai. Vedi il mondo attraverso una lente diversa.

E com’è stato per te crescere nella provincia irlandese?
È stato come probabilmente immagineresti: bar, feste in casa e tempo passato per strada o a casa di amici. Sono sempre stata molto ambiziosa e la mia voglia di vivere mi faceva sentire soffocata dalla realtà della piccola città di provincia in cui vivevo. Mi sono sempre chiusa nel mio mondo fatto di film e libri.
Possiamo dire che la fotografia ti ha aiutato a sconfiggere la noia del vivere in provincia?
Assolutamente. In quegli anni è stato il mio principale mezzo e strumento di sfogo. Era un motivo per uscire di casa e passare il tempo a creare qualcosa che fosse veramente significativo per me, e mi ha permesso di instaurare relazioni durature con le persone che appaiono nelle fotografie—alcune di loro non le avevo mai incontrati prima o le conoscevo a malapena, e ora siamo ancora amici. Allo stesso tempo, anche vivere in una città di provincia ha contribuito all'estetica del mio lavoro, spingendomi a inquadrare ogni fotografia emulando le scene dei film in cui mi ero persa. L'esclusione intenzionale di certi dettagli dall'inquadratura che potessero dare un'indicazione del luogo ha reso i miei scatti parte di un mondo a parte.

Parliamo di FLOWERZ, commissionato da R-City Belfast, in cui hai fotografato le giovani ragazze per le strade di Belfast durante la pandemia. Questa serie sembra volersi porre come un manifesto di emancipazione, una dichiarazione di libertà. È così? Ci racconti com’era l'atmosfera in quel periodo?
Tutto è iniziato quando R-City mi ha chiesto di lavorare a una serie di fotografie di ragazze per una mostra audiovisiva a Belfast, che sarebbero state esposte in cartelloni pubblicitari per le strade della città. In quei giorni il mondo era ancora in lockdown, quindi abbiamo deciso di scattare all'aperto. Il fatto che le immagini fossero confinate nelle strade, insieme all'energia dei soggetti, ha riacceso in me lo spirito adolescenziale. Ho celebrato la giovinezza delle ragazze, tentando di catturare il senso di libertà che senti o brami durante quella fase della tua vita.
Hai anche lavorato a servizi fotografici per agenzie di moda e importanti giornali come il New York Magazine. Come cambia il tuo approccio in quelle situazioni?
Di solito, quando un cliente mi contatta, conosce già l'estetica del mio lavoro ed è ciò che gli interessa. Questo mi dà la libertà di lavorare con il mio stile. Penso che sia una grande fortuna, ma allo stesso tempo spingersi oltre al proprio stile per soddisfare le esigenze del cliente è una sfida entusiasmante.

Le tue fotografie parlano di adolescenza e provincia irlandese, ma arrivano a toccare tematiche universali. Quali credi siano i tratti che accomunano la storia di ogni adolescente di ogni parte del mondo?
Sentirsi isolati, fragili e smarriti. La ricerca di uno scopo. La valorizzazione dell'amicizia, l'intimità, la libertà.
E cosa, invece, credi che caratterizzi nello specifico l’adolescenza e la provincia in Irlanda in relazione al contesto sociale e geografico?
Avevo l'impressione che io e tutti e quelli che mi circondavano provassimo, consapevolmente o meno, un senso di vuoto. Ci siamo incontrati e conosciuti in un periodo sconfortante delle nostre vite, in cui stavamo per lasciare la nostra adolescenza per entrare nell'età adulta: il futuro era incerto e non avevamo un piano ben definito. Allo stesso tempo, vedevamo i nostri conoscenti andarsene dall'Irlanda per ampliare i proprio orizzonti e trovare nuove opportunità.

Le tue fotografie sembrano allo stesso tempo studiate e spontanee, come se fossero un prodotto della tua immaginazione che si riflette sulla realtà. È così? Quanto studio c'è dietro alle tue fotografie? Ci spieghi il tuo metodo di lavoro?
Esatto, le fotografie sono state essenzialmente un modo per proiettare all’esterno il mondo cinematografico che avevo nella mia testa, creando così una "realtà" in cui potevo vivere indirettamente attraverso il mio lavoro.
Anche le fotografie nate inizialmente come "messe in scena", sono poi diventate delle testimonianza reali delle nostre vite. Ad esempio, anche se avevo un'idea o un'immagine specifica che volevo realizzare, una volta che iniziavo a scattare seguivo semplicemente il flusso della giornata e immortalavo le cose per come venivano.

Quella dei ritratti è forse una delle tipologie di fotografia più delicate e intime. Eppure i tuoi ritratti riescono sempre a comunicare emozioni forti, dirette e profonde. Come ci riesci? Che tipo di rapporto instauri con i tuoi soggetti per ottenere questa potenza?
È sempre utile avere una relazione con i soggetti prima dello scatto, anche se questo non è sempre possibile. Personalmente, cerco sempre di fare emergere un senso di intimità e autenticità dai miei soggetti, facendoli sentire a proprio agio e creando un senso di fiducia reciproca.
I tuoi lavori sembrano trarre ispirazione dal cinema—ci hanno subito fatto pensare a film come Paris, Texas e Lost In Translation. Che rapporto c'è nella tua pratica tra fotografia e cinema?
Entrambi quei film sono una fonte di ispirazione per me. Il cinema ha avuto e ha ancora un'enorme influenza sul mio lavoro e sulla mia estetica. Ho passato così tanto tempo a perdermi nei film che tutto ciò che ho visto è finito in automatico nei miei lavori. Sento che il cinema mi ha insegnato a raccontare una storia attraverso una singola immagine, in cui ogni elemento scenico contribuisce a evocare un'emozione particolare: la posizione, l'illuminazione, l'espressione sul viso del soggetto. Trovo magico che un'immagine abbia la capacità di trasportarti da qualche altra parte.

Ci sono fotografi o registi che ti ispirano e da cui continui a trarre ispirazione? Ti lasci più ispirare da un certo immaginario o da una particolare tecnica?
Traggo ispirazione da una vasta gamma di medium, tra fotografia, film, libri, dipinti, musica. Sento che sono tutte refecence filtrate e incorporate nel mio lavoro in modi diversi. Parlando di fotografi, adoro i lavori di Nan Goldin, Harley Weir, Olivia Bee, Corinne Day, Erika Kamano e Bieke Depoorter—per citarne alcuni.
A proposito di Stoned in Melanchol, ci parli del formato con cui hai scelto di pubblicarlo fisicamente? Di fatto non è un vero e proprio libro, ma una scatola (rizla-style box) con all'interno dei poster ripiegati. Come mai questa scelta?
Ho discusso a lungo con Setanta Books sui diversi modi in cui potevamo presentare il lavoro. Sono partita dalla pratica di strappare immagini da riviste e libri per attaccarle sulle pareti, che è sempre stata per me una fonte di ispirazione. Questa idea ha influenzato il layout dell'opera, che chi prende in mano può smontare, interagendo col libro come preferisce, inquadrandolo, riorganizzandolo, creando le proprie storie.

Cosa ti sta riservando il futuro? Stai lavorando ad altri progetti? Puoi dirci qualcosa?
Sto lavorando a una varietà di progetti (anche cinematografici) in questo momento e ho anche appena finito di lavorare a una cover story per il Financial Times di cui sono molto entusiasta.
In termini di progetti personali, spero di intraprendere un nuovo progetto cinematografico, oltre a creare un libro di fotografie per accompagnare il lavoro. Il progetto è solo alle fasi iniziali, ma spero di poter condividere qualche nuovo dettaglio molto presto.








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Crediti
Testo di Marco Frattaruolo
Fotografie di Megan Doherty