Una lezione storico-estetica sullo sport post-sovietico, in foto
In quella che potrebbe essere una Bielorussia ipersaturata, i corpi flessi in pose plastiche e innaturali diventano luogo di negoziazione identitaria, politica e generazionale.
Questo articolo è stato pubblicato originariamente a giugno 2021. Oggi, in occasione della Giornata Internazionale dello Sport, abbiamo deciso di riproporvelo.
Nello sport i corpi passano attraverso stati di trasformazione, si piegano oltre i presunti limiti dei movimenti, si plasmano in forme innaturali, assumono tropos estetici che sforano i confini dell’esercizio fisico e diventano arte plastica, statuaria e dinamica allo stesso tempo. Così, lo sport può diventare metafora del cambiamento e del mutamento del tempo.
Lo è oggi, e lo era nell’URSS post-sovietica, dove la caduta del governo ha aperto una frattura di cui ancora si manifestano le conseguenze. Tra queste, una delle più evidenti emerge all’interno del dizionario estetico contemporaneo dei paesi dell’Est, che si è codificato seguendo i canoni sportivi, sia come immaginario, sia come etica. Con il crollo dell’URSS, infatti, i Paesi si sono separati come tessere di un puzzle rotto, e ognuno ha dovuto creare la propria nazionale sportiva, reinventando l’immaginario del paese per trovare una nuova, personale, identità di mutuo riconoscimento. Ed è qui che lo sport assume importanza evocativa come metafora dei tempi che passano.
Questo mosaico di codici estetici è stato il punto di partenza per il nuovo progetto della stylist Angelica Troncone e del fotografo Boris Camaca. Nella lotta identitaria portata avanti con strenuo impegno e sacrificio oggi da diverse minoranze, i due artisti hanno riconosciuto lo stesso slancio rivoluzionario e autodeterminante della lotta che aveva caratterizzato i paesi dell’Europa dell’Est post-sovietica. Un’ondata concettuale e sociale che si concretizza in paesaggi angoscianti e inquietanti, dove errano figure eteree, quasi aliene, che con i loro movimenti sinuosi e stranianti riqualificano palestre grigie, decadenti, con i muri crepati e le pareti scrostate.
Per immergerci completamente in questo mondo, in cui estetica e rivendicazioni sociali si intersecano in un abbraccio strettissimo, abbiamo parlato direttamente con le due menti dietro a questo progetto.

Partiamo dagli inizi: parlateci un po’ del progetto… com’è nato? Angelica Troncone: Il progetto è nato da un bisogno di raccontare un tipo di femminilità con un impatto dissonante rispetto al reale, ma che allo stesso tempo racconti il mio ricordo sportivo, da ginnasta, attraverso delle sensazioni.
L’estetica plastica del progetto è magnetica, il simbolismo anche: da dove avete tratto ispirazione?
AT: Avere come coach di ginnastica due donne Bielorusse durante l’infanzia mi ha portata a voler approfondire questo tipo di estetica. Così, ho deciso di avviare una ricerca con la quale approfondire il modo in cui, sempre più frequentemente, vengono inseriti elementi sovietici o post-sovietici nella moda occidentale contemporanea.

Quindi tutto parte dal ruolo dello sport nel periodo post-sovietico. Volete parlarci del background storico e sociale del questo progetto? AT: Lo sport ha sempre ricoperto un ruolo di primaria importanza per i paesi dell’Est. Sin dagli anni ‘30, quando vigeva l’ex modello sportivo sovietico, l’obbiettivo era quello di portare rapidamente verso modernità la vasta e arretrata popolazione sovietica. Lo sport, così, è diventato uno strumento politico cruciale, anche durante la guerra fredda. Con il crollo dell’URSS e l’apertura all’Occidente, lo sport sovietico con i suoi codici etici ed estetici iniziò a decadere, ma ancora oggi rimane come modello da cui prendere spunto per i metodi di allenamento contemporanei e la voglia di vincere degli atleti.
Come mai pensate che questa estetica stia prendendo sempre più piede nello sport di oggi?
AT: Questo tipo di estetica iperrealista deriva, secondo me, da una nostalgia nei confronti del passato, e per questo rientra a pieno nei canoni della Ugly Fashion. Trovo che sia interessante analizzare come le nuove generazioni dell’Est vengono percepite dall’Occidente, e viceversa. Il suprematismo (con il suo dogma di pura forma) e il costruttivismo (con la sua ricerca di un equilibrio tra il piacevole e il funzionale) dettavano la moda del tempo e oggi ispirano molti brand.

Come avete studiato i setting e le pose per rappresentare il mondo dello sport sovietico? AT: Abbiamo voluto ricreare situazioni differenti con una forma quasi documentaristica, che non parlassero solo di sport ma di emozioni, femminilità e vita quotidiana, selezionando un cast vario e realistico. L’equitazione è rappresentata in una scuderia, la ginnastica ritmica in una palestra dove ogni giorno si allenano agoniste e il nuoto in una piscina vuota mosaicata. Abbiamo incluso anche scene che ricordano cartoline di posti insoliti, ricchi di un’atmosfera grigia ma penetrante.
Boris Camaca: Il centro dello shooting non è lo sport—a parte la parte documentaristica sulla ginnastica, ovviamente. Lo sport qui ricopre un ruolo evocativo, facendo da veicolo per parlare della transizione da un mondo vecchio a uno nuovo. Da qui l'estetica post-sovietica, che simboleggia la fine di un'era, lasciandosi alle spalle un mondo semidistrutto dove ai paesaggi più naturali si affiancano grandi complessi industriali. Lo sport qui prende il posto di una miccia che mette in movimento—in questi paesaggi—i corpi.

Quali sono stati gli elementi imprescindibili nello styling per rappresentare l’estetica post-sovietica? AT: Ho voluto includere brand molto attuali, come Blumarine e Vaillant, che hanno donato quella dolcezza e sensualità femminile adolescenziale; o Motoguo, che ha reso lo styling giocoso e un po’ più distopico. L’importante per noi è stato anche scattare alcuni look che emanassero semplicità e purezza della forma.
Per quanto riguarda le ginnaste, essendo state scattate in forma più documentaristica, abbiamo optato per la loro classica tenuta d’allenamento; mentre i loro body da competizione sono stati realizzati a mano da sarte locali.

Quale storia volete raccontare tramite questo editoriale? Quale messaggio vorreste veicolare? BC: Credo che il messaggio centrale stia nella parte più documentaristica dello shooting, quella con le giovani atlete che stanno facendo un allenamento di ginnastica ritmica in una palestra provinciale, che potrebbe trovarsi in Bielorussia o in qualsiasi parte d'Europa. Qui si vede chiaramente la fluidità della trasformazione del mondo, delle menti e dei corpi attraverso lo sport.
In un momento in cui una frangia della popolazione mondiale sta lottando per il diritto a essere ciò che vuole (ci riferiamo alla comunità LGBTQ+), ecco un gruppo di ragazze molto giovani a cui viene insegnato a essere icone visive. Mi colpiscono in particolare le scene in cui i corpi vengono usati tramite lo sport per fini puramente estetici. Queste bambine, il cui corpo non è ancora formato, devono produrre esercizi complessi e probabilmente dolorosi, pur mantenendo un grande sorriso di facciata, per apparire piacevoli. A volte queste immagini sembrano quasi provenire da un’altra epoca.

Avete dei modelli di riferimento che ispirano i vostri lavori? AT: Tra i punti di partenza ci sono le radici della cultura visiva locale, come Alekandr Samokhvalov con il suo dipinto Ragazza in abiti sportivi del 1932 e Victor Chemso con Girls. Per quanto riguarda lo styling e il casting, ho ripreso l’immaginario fotografico di Igor Mukhin e quello ritratto da Claudine Doury nel 1994 in Life in a Soviet Summer Camp.
Come icone di stile, non posso fare a meno di riprendere Alina Kabaeva o Elena Bukreeva, con il suo programma televisivo alla Jane Fonda, o ancora Ekaterina Majorov, Miss KGB nel 1990.

Questo lavoro come entra in dialogo rispetto ad altri nel vostro portfolio? AT: Per me non è un semplice lavoro che fa portfolio, ma una parte di storia che diventerà un Art Book.
BC: Personalmente, vorrei che il mio lavoro si rivolgesse sempre di più alla ricerca documentaristica, e meno alla fabbricazione. Ed è per questo che è stato così intenso per me scattare il progetto.














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Crediti:
Foto: Boris Camaca
Styling: Angelica Troncone
MUA: Andrea Savino
Video Editing: Anton Pio Rubino
Sound: Claudio Fedele
Modell*
Ludovica Persinotto
Nienke Flier
Roberta Netto
Ginnastica ritmica Pietro Micca
Testo di Gloria Venegoni